Il nostro sportello sociale: una porta sulla strada per sentirsi meno soli

Come scriveva Tolstoj nell’incipit di Anna Karenina,Le famiglie felici si assomigliano tra loro, le famiglie infelici sono infelici a modo loro”. Il nostro sportello sociale in Piazza Mercantile 47 a Bari è aperto all’ascolto di queste storie, ciascuna unica ed eccezionale, e i nostri volontari svolgono prevalentemente un’attività di primo livello di accoglienza, finalizzata alla creazione di una relazione di aiuto e all'emersione di necessità, anche non espresse, nonché di risposta ai bisogni primariIl ruolo che hanno gli operatori è, quindi, importante e molto sentito; pensiamo alla responsabilità del filtro, alla impossibilità di esaudire tutte le richieste, al rischio di generare illusioni o perdere la fiducia e cosi via. Leggiamo insieme le testimonianze di alcuni di loro, le loro emozioni, le difficoltà, i progetti.

«Il nostro sportello sociale, con tutto il suo corollario di servizi, nasce sull’onda lunga dell’emergenza covid – spiega Tullioquando siamo dovuti passare da una logica di attività sporadiche al bisogno vero e proprio. Operiamo tutti seguendo un processo attento e organizzato e le attività più delicate sono quelle di contatto diretto con chi è in una situazione di disagio economico e sociale. I racconti che ascoltiamo sono molto emozionali e, nel corso dei vari incontri, viviamo la vita di queste persone a puntate».

«Da oltre due anni incontro quasi ogni settimana le persone che “entrano” nello Sportello per ricevere assistenza» racconta Alessandro, «Alcuni lo fanno in punta di piedi con riserbo e poca conoscenza della forma di aiuto che possono ricevere; altri, più pragmatici, sanno già le attività che realizziamo in campo sociale e accedono con richieste ben precise; altri ancora - fortunatamente una sparuta minoranza - entrano con spavalderia e pretese ingiustificate. Tutti, però, manifestano, con il loro approccio diverso, una situazione di bisogno che ha modificato profondamente la loro vita. Ogni colloquio è complesso e difficile. E’ importante mantenere un livello di conversazione professionale senza cadere nella tentazione di assumere toni confidenziali o, peggio ancora, paternalistici. Per loro sono sempre un estraneo anche se mi sforzo di comprendere appieno il loro stato di disagio. Nella gestione di un colloquio è necessario riuscire ad ascoltare la comunicazione verbale e non verbale. A volte, mi è capitato che ponendo domande con risposte chiuse -SI/NO- emerga una situazione di vera e propria sofferenza personale e disagio relazionale. La completa formazione ricevuta mi consente di valutare e gestire al meglio ciascuna situazione senza generare illusioni o false aspettative. La mia è stata e continua ad essere un’esperienza molto positiva. Sono situazioni che consentono di approcciarsi al vero disagio sociale, alle condizioni di povertà assoluta ed alla importante funzione sociale svolta da Croce Rossa».

Questa l’esperienza di Marisa: «Mi sento molto vicina a tutti coloro che bussano alla nostra porta, tendendo loro la nostra mano. Sono vicina a molte famiglie chiamate “multiproblematiche”, con vari disagi di tipo economico, lavorativo o legati alla disabilità. A me non piace usare il termine tecnico “utente”, con il tempo ho imparato tutti i loro nomi, perché parliamo di PERSONE, della loro dignità, delle loro situazioni difficili, a volte insostenibili. Cerco di dare loro tutto l’aiuto di cui hanno bisogno soprattutto offrendo loro un supporto psicologico perché spesso si trovano in una condizione di burnout. Ognuno di loro ha una storia, un vissuto e la soddisfazione più grande per me è che loro si fidano di me, raccontano le loro storie più intime e più tristi. Devo ammettere che il compiere il bene di chi si trova in una posizione di svantaggio rispetto alla nostra, produce all’interno dell’animo di ognuno una sensazione indescrivibile, che tutti hanno il dovere di sperimentare».

«Altra finalità del nostro progetto è la costruzione di una rete territoriale fra sportelli sociali e fra questi e gli altri soggetti che lavorano sul mio territorio» spiega Filomena, «e per farlo bisogna impostare una buona relazione di rete, cercare di conoscersi, dare un volto alle persone con cui si collabora, costruirsi una mappa che consideri tutti i diversi soggetti e servizi coinvolti nel nostro lavoro individuando quelli che conosciamo di più e quelli che conosciamo meno, quelli di cui sentiamo paura o di cui avvertiamo ostilità e dedicare tempo a sviluppare conoscenza reciproca, sintonia e condivisione emotiva degli obiettivi. Tutto questo significa mettere insieme mezzi e esperienze per costruire risposte, per creare fiducia, per aiutarsi a rispondere alle richieste delle “nostre persone”, per non essere assistenzialisti (cosa facile), ma per consentire loro di rendersi autonomi, trovare un lavoro, di “crescere”. Un’utopia questa se pensiamo di farlo da soli, un sogno che potrebbe diventare realtà se ognuno contribuisse con risorse e competenze diverse. Lavorare insieme significa vincere insieme. Lavorare per le nostre persone, per le nostre famiglie ma soprattutto per i nostri “piccoli angeli” che si affacciano con i genitori allo Sportello. Sono proprio i bimbi che incontro, il loro diritto ad una vita migliore, più giusta, in cui non debbano sentirsi discriminati rispetto ai loro coetanei, in cui vedano realizzati i loro piccoli desideri a dirmi che devo andare avanti e che molto c’è ancora da fare. Quegli stessi bimbi che sanno dirti grazie in un modo speciale, l’unico che ti riempie il cuore: il loro sorriso. Il sorriso più bello della mia vita l’ho visto in questo mia breve esperienza allo Sportello da una bimba speciale. Una semplice Barbie, di quelle che i suoi coetanei disprezzano, ha asciugato le sue lacrime e riempito il suo dolce visino di un sorriso bellissimo.»

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